11.10.21

La lana e la seta.

DI NINO RUGGIERO 

Il calcio è materia difficile da interpretare, così come è difficile interpretare e commentare un partita. In più è opinabile perché ognuno ha un modo diverso di vedere. Non per niente si dice, coloritamente in vernacolo, “ogni capa è nu tribunale”. Ho visto la gara con il Catanzaro solo in registrazione per impegni che mi hanno tenuto lontano da Pagani. Alla fine mi pare di poter dire che la squadra calabrese ha raccolto anche meno di quello che ha seminato. Una Paganese impalpabile, timorosa, inconcludente ha lasciato campo libero agli avversari. Basti pensare che il portiere del Catanzaro non ha dovuto effettuare un intervento che sia uno per tutta la durata della gara. Dove è finita allora la squadra baldanzosa e fiera che aveva fatto sognare una vasta platea di tifosi, non solo i soliti fedelissimi ma anche gli occasionali, quelli che si infiammano quando arrivano i risultati positivi a ripetizione? Dicevo all’inizio della difficoltà di interpretare il calcio. Mi spiego. Quest’anno, dopo gli ultimi periodi grigi che avevano portato disperazione e disamore verso i colori azzurrostellati, tutto sembrava dovesse andare per il meglio. L’arrivo di Cocchino D’Eboli aveva subito infiammato la piazza. Acquisti di un certo rilievo autorizzavano a sperare in un mutamento di rotta. Non più una squadra allestita per salvarsi, ma una squadra in grado di disputare un campionato onorevole, con il malcelato obiettivo di agguantare un posto nei play off. E tutto, specie dopo il cambio del manico, con l’arrivo di Gianluca Grassadonia, pareva essersi messo sui binari giusti. Due vittorie di fila in casa contro Catania e Taranto e il pareggio conquistato con ampio merito a Bari, contro l’indiscussa capolista del girone, autorizzavano a sognare in grande. Poi qualcosa si è inceppato, a cominciare dalla vittoria all’ultimo secondo contro la Vibonese per continuare con due sconfitte consecutive a Campobasso e in casa domenica con il Catanzaro.  Allora ci viene da chiedere: qual è la vera Paganese, quella vista contro Catania, Taranto e Bari o quella di domenica che ha subito le pene dell’inferno contro il Catanzaro? Ecco, la difficile materia del calcio; ecco la difficoltà di interpretare una partita, di sviscerarla e di capire quali sono i veri ingredienti che fanno grande una squadra. Un giorno sugli altari, un altro nella polvere. Sembra questo, al momento il refrain che accompagna il cammino della Paganese. La verità, come quasi sempre nella vita, sta nel mezzo. La Paganese non è la corazzata sognata dalla tifoseria, ma non è nemmeno una squadra di mezze calzette. Bisognerebbe convincersi che le grandi squadre non nascono mai per caso e spesso sono il frutto di un lavoro di squadra, certosino, mai occasionale. Lo ha dimostrato il Catanzaro, autore di una prestazione superlativa che va al di là del risultato, frutto di una campagna acquisti effettuata senza alcun risparmio e di in gioco di squadra ben collaudato. Ogni pedina al posto giusto e grande equilibrio tattico per la squadra di Calabro che si candida a essere la più seria avversaria del Bari in tema di promozione. Sulla Paganese sarò lapidario. È di sicuro una buona squadra perché composta da elementi di buona fattura tecnica; alcuni eccellono, qualche altro stenta a innalzarsi da un’aurea mediocrità. Nel complesso, inutile fare paragoni con il recente passato perché sarebbe come mischiare la lana con la seta.  I risultati positivi arriveranno, siatene certi, anche se probabilmente qualcuno aveva volato alto con la fantasia. Forse troppo in alto. Dal punto di vista tecnico-tattico c’è da dire che la difesa continua a non convincere; il centrocampo gioca a sprazzi e mancano soprattutto i collegamenti fra i reparti. Su questo, Grassadonia avrà molto da lavorare in settimana in vista della gara esterna con il Monterosi Tuscia che si giocherà a Viterbo. Qualcosa dovrà cambiare nell’organizzazione del gioco che appare farraginoso e macchinoso. Sui singoli preferisco che sia il tecnico a fare le sue brave valutazioni. Nessuno può farle meglio di lui.

Nino Ruggiero