Carmine Longo e Roberto Chiancone analizzano la crisi di vittorie delle salernitane.
FILIPPO ZENNA. Una - la Cavese - ha paura di vincere; l'altra - la Paganese - ha una fifa matta di perdere ed il successo, dopo 540 minuti di campionato, resta una chimera. Circoscrivere esclusivamente ad un sentimento di timore l'incapacità di far bottino pieno sarebbe, però, riduttivo e fin troppo banale. Ci sono ragioni ben più profonde dietro l'astinenza di aquilotti ed azzurrostellati: cause che vanno sviscerate con l'ausilio di chi mastica calcio da decenni, di chi ha trascorso migliaia di ore in trattative (Carmine Longo) e chi ha speso una vita sul rettangolo di gioco (Roberto Chiancone). L'analisi dell'operatore di mercato salernitano è molto critica nei confronti della Cavese (a proposito, squalificati dal giudice sportivo Bacchiocchi e il presidente Fariello), morbida sulla Paganese. Parte da lontano Carmine Longo per spiegare le difficoltà attuali del club aquilotto: «Con l'addio di Campilongo si chiuse un ciclo e la rifondazione andava avviata già dopo quella sfortunata semifinale play off col Foggia perché quando si fallisce un obiettivo non è facile ripartire dagli stessi interpreti. Quelli della vecchia guardia hanno difficoltà a ritrovarsi, i nuovi hanno subito sul magone responsabilità enormi che rallentano il processo di integrazione. Ci vuole pazienza che una piazza esigente ed abituata al grande calcio non concede. Attualmente la Cavese attraversa una fase di crisi identitaria: c'è ansia di mostrare che si è bravi come in passato senza avere però le spalle larghe per riuscirci». Carmine Longo va avanti e chiama in causa anche il patron Della Monica: «Le sue incertezze, legate ad una condivisibile volontà di ridimensionare il forte impegno economico, hanno avuto influenza notevole sulle scelte. Come quella di affidare la panchina a Maurizi, che avrà anche idee e volontà, ma è pur sempre un neofita della categoria e s'è ritrovato catapultato in una dimensione molto grande come Cava dove le pressioni sono forti. La soluzione allo stato di crisi si chiama Pavone: è un grande uomo di calcio, scafato ed integralista, capace di porre fine ad una fase che io definisco dissociativa». Radicalmente diverse le motivazioni della crisi della Paganese: «Tutto il peso è sulle spalle di Raffaele Trapani al quale dovrebbero costruire una statua perché con risorse striminzite ha portato Pagani a livelli altissimi. Fa di necessità virtù e ragiona in termini aziendalistici: piuttosto che svenarsi e rischiare il fallimento preferisce soffrire in prima divisione ed assicurare continuità tra i professionisti. Sul piano tecnico l'organico è estremamente modesto e l'errore che non avrebbe mai dovuto commettere è stato quello di separarsi da Capuano. La scelta di Palumbo non mi ha convinto, ora c'è Pensabene che ha avuto il piccolo merito d'aver frenato l'emorraggia di sconfitte». Da Longo a Chiancone, che da tecnico chiaramente si sofferma solo sulle vicende di campo: «La Cavese vive un grande equivoco: ha tanti attaccanti, ma nessuno ha il gol nel sangue. Turienzo non è un bomber e non si possono di certo pretendere reti dagli esterni che disperdono già tante risorse in un modulo duro come il 3-4-3. Con queste prerogative è difficile segnare e quando si va sotto rimontare è un'impresa soprattutto in un torneo dai valori tecnici elevatissimi». Sulla Paganese un concetto essenziale, ma chiarissimo: «È inefficiente nel reparto offensivo, non dispone di una punta vera e presenta carenze anche negli altri reparti. La politica dei piccoli passi intrapresa da Pensabene è l'unica percorribile per sperare nella salvezza».
Il Mattino