Quando si vince dopo aver disputato la partita più brutta di questo campionato, vuol dire che l’annata è quella giusta.
Brutta la partita con l’Aprilia, specie
nel primo tempo. Gli avversari, per niente intimoriti dal fatto di
incontrare i primi della classe, sembrano indemoniati. Sono primi su
tutti i palloni; giostrano nella zona nevralgica del campo ed è un
piacere vederli sotto l’aspetto puramente spettacolare. Controllano il
gioco, si affidano al senso tattico e geometrico di Croce, un
centrocampista di altri tempi, testa all’insù, controllo impeccabile del
pallone, crocevia di tutte le azioni che la sua squadra va ad
imbastire.
E’ proprio a centrocampo che la Paganese
non si ritrova. Tricarico corre come un matto, cerca di tamponare la
supremazia territoriale degli avversari ma non trova conforto nella
prestazione del giovane Giglio, quasi spaesato, passo compassato,
davanti all’incedere di avversari che in quella zona di campo sembrano
essere in tanti.
La Paganese è come spezzata in due
tronconi. La difesa svolge il suo compito senza grossi affanni ma i
collegamenti con i quattro schierati in avanti, vale a dire Galizia
sulla destra, il tandem Luca Orlando-Fava al centro e Scarpa sulla
sinistra, sono precari. Nessuno dei quattro, probabilmente anche per
caratteristiche tecniche, intuisce subito che il centrocampo ha bisogno
di una mano perché gli avversari in quella zona imperversano.
L’Aprilia è una squadra ben diversa da
quelle incontrate fino a questo momento al “Marcello Torre”. E’ forte in
tutti i reparti. Squadra tetragona, presenta un duo centrale di difesa
tosto, sia negli interventi aerei, sia nell’anticipo. A centrocampo
Croce calamita tutti i palloni giocati dalla sua squadra ed i suoi lanci
non sono mai banali o inconcludenti. Inoltre Cruciani, Di Libero e
Criaco arretrano nella fase di non possesso e gli danno una mano per
andare a recuperare palloni.
Questo è lo specchio tattico fedele di un
primo tempo che non fa registrare sussulti. Nonostante tutto l’Aprilia
non riesce ad andare oltre uno sterile predominio territoriale. Con una
supremazia territoriale indiscussa la squadra laziale potrebbe incidere
parecchio in attacco, ma – per nostra buona sorte – è proprio in avanti
che la squadra non riesce a pungere e diventare pericolosa. Robertiello
può dormire sonni tranquilli e deve solo uscire di pugno su uno
spiovente dalla sinistra, cavandosela poi egregiamente qualche minuto
dopo nell’unica occasione in cui viene in un certo senso chiamato
all’opera da Ceccarelli, più bravo a litigare che a concretizzare.
La Paganese? Balla il centrocampo; tiene
benissimo, senza affanni, una difesa sempre più ermetica di cui Fusco
sembra avere saldamente le chiavi.
E’ l’attacco il reparto che sembra essere
un ospite indesiderato in questo tipo di partita. Sono tutti e quattro
in linea gli attaccanti della Paganese, specie nei primi minuti; tengono
fermi e bloccati – è vero – i quattro difensori dell’Aprilia che non si
sbilanciano in avanti, ma è a centrocampo che la partita è impari
perché gli attaccanti laziali, a differenza del comportamento tattico
della Paganese, partecipano alla costruzione della manovra.
Nessuno vuole discutere l’idea tattica di
Grassadonia, tecnico emergente dalle idee innovative che predica un
calcio d’attacco e partecipativo, ma è chiaro anche che in determinati
frangenti bisogna pur dare un’occhiata agli avversari che si incontrano e
adeguarsi, anche in corso d’opera, al discorso tattico.
E’ vero che in questo campionato – quando
si dispone di atleti di classe superiore alla media – basta un lampo di
genio, una giocata di fino, una prodezza personale per vincere le
partite. Ma bisogna anche predisporre le cose in modo da propiziare
questi tipi di giocate che infiammano le platee.
Contro l’Aprilia, purtroppo, nella prima
parte della gara, non è stato possibile vedere all’opera l’attacco delle
meraviglie, soprattutto perché il collante che deve tenere unita la
squadra è mancato quasi del tutto. E quando mancano i collegamenti,
quando non c’è manovra avvolgente sulle fasce laterali, è difficile che
ci si avvicini pericolosamente alla porta avversaria. Cosa che purtroppo
è avvenuta.
La svolta tattica nella ripresa. Si fa
espellere Croce e la Paganese riemerge non solo perché l’Aprilia deve
giocare in dieci uomini, quanto perché viene a mancare proprio l’uomo
che nel primo tempo – nella zona centrale del gioco – aveva fatto il
bello ed il cattivo tempo.
Si fa sentire anche la fresca vena di
Fabio Orlando che non vuole essere da meno rispetto al più osannato
fratello e imperversa sulla destra come un puledro di razza liberato
dopo essere stato a lungo nella stalla. Corre Fabio Orlando e pennella
un pallone docile docile per il ben piazzato Galizia tutto spostato
sulla sinistra al limite dell’area; tocco di biliardo di quest’ultimo e
pallone piazzato nell’angolo lontano alla sinistra di un incolpevole
portiere avversario. Che gol, ragazzi! qua la mano Galizia, questi sono
gol che deliziano il palato e fanno dimenticare quasi d’incanto tutti i
patemi d’animo sofferti in una insulsa prima parte della gara.
E’ un’altra Paganese quella del secondo
tempo. E’ vivace, gode della fresca vena di Fabio Orlando e del senso di
posizione di Acoglanis; per giunta ha di fronte un avversario stordito
dall’espulsione del suo uomo più rappresentativo.
Il secondo gol rappresenta solo una
normale e logica conseguenza di una supremazia oramai chiara e
devastante. E’ ancora il più giovane degli Orlando a confezionare il
regalo per Fava, uno di quegli inviti che non si possono rifiutare.
Caracolla sulla destra, supera un paio di avversari, lancia in corridoio
il pallone per il fratello; questi aggancia il pallone docilmente, dà
un’occhiata al centro, elude l’uscita del portiere e serve un pallone
d’oro a Fava solo soletto davanti alla porta sguarnita. “Grazie, ricambierò” – sembra dire Fava, circondato e festeggiato dai compagni.
Questa è la Paganese che vorremmo sempre vedere; una compagine quadrata, sicura di sé e spietata sotto rete.
Grassadonia però avrà ancora molto da
lavorare. C’è da recuperare in pieno Scarpa, che dovrebbe costituire
l’elemento aggiunto della squadra ma che, al momento, appare molto
lontano dal bel giocatore che tutti abbiamo sempre ammirato. La
dimostrazione di una forma ancora tutta da ritrovare emerge quando il
giocatore conquista palla al limite dell’area avversaria sul versante a
lui più congeniale, il sinistro. In altri tempi avrebbe puntato l’uomo,
irretendolo ed irridendolo; oggi si limita al cross quasi da fermo, un
cross che non è da Scarpa.
C’è anche da guardare con più attenzione
alla manovra di centrocampo. Quando gli avversari hanno la superiorità
numerica in quel settore e sono anche avversari di un certo spessore,
perché anche questo deve essere ben considerato, allora c’è bisogno di
dare una mano a Tricarico e Acoglanis, i due cioè che devono tirare la
carretta.
Quattro uomini davanti in linea possono
anche essere schierati, ma l’avversario deve essere di portata
inferiore; anzi di gran lunga inferiore. In caso contrario qualcuno tra i
quattro deve necessariamente abbassarsi e partecipare sia all’azione di
difesa, sia a quella propositiva. Qualcuno non sarà d’accordo; ma io
dico che è così.
Nemmeno il tempo di tirare un sospiro di
sollievo per una vittoria sofferta ma in fondo meritata che ecco
giungere il turno infrasettimanale. Si va a l’Aquila e si gioca di sera
con i riflettori. Piazza importante l’Aquila, capoluogo di provincia
dalle buone tradizioni calcistiche. La gara riserverà molte insidie
anche per il valore dell’avversaria.
Fideremo su una difesa di ferro che
concede poco agli attaccanti, specie quando è supportata da un efficace
filtro a centrocampo. E fideremo pure sul senso del gol di Luchino
Orlando e di Fava, sempre di più gemelli del gol.
Il campionato, man mano che si va avanti,
sta già esprimendo i reali valori delle squadre che vi partecipano.
Importante sarà non tornare dall’Abruzzo a mani vuote.
Ricordiamoci che l’Aquila non è affatto avversaria da sottovalutare. Anzi.