11.10.11

Croce e … Galizia.

Così è (anche se non vi pare) di Nino Ruggiero per paganese.it

Quando si vince dopo aver disputato la partita più brutta di questo campionato, vuol dire che l’annata è quella giusta.
Brutta la partita con l’Aprilia, specie nel primo tempo. Gli avversari, per niente intimoriti dal fatto di incontrare i primi della classe, sembrano indemoniati. Sono primi su tutti i palloni; giostrano nella zona nevralgica del campo ed è un piacere vederli sotto l’aspetto puramente spettacolare. Controllano il gioco, si affidano al senso tattico e geometrico di Croce, un centrocampista di altri tempi, testa all’insù, controllo impeccabile del pallone, crocevia di tutte le azioni che la sua squadra va ad imbastire.
E’ proprio a centrocampo che la Paganese non si ritrova. Tricarico corre come un matto, cerca di tamponare la supremazia territoriale degli avversari ma non trova conforto nella prestazione del giovane Giglio, quasi spaesato, passo compassato, davanti all’incedere di avversari che in quella zona di campo sembrano essere in tanti.
La Paganese è come spezzata in due tronconi. La difesa svolge il suo compito senza grossi affanni ma i collegamenti con i quattro schierati in avanti, vale a dire Galizia sulla destra, il tandem Luca Orlando-Fava al centro e Scarpa sulla sinistra, sono precari. Nessuno dei quattro, probabilmente anche per caratteristiche tecniche, intuisce subito che il centrocampo ha bisogno di una mano perché gli avversari in quella zona imperversano.
L’Aprilia è una squadra ben diversa da quelle incontrate fino a questo momento al “Marcello Torre”. E’ forte in tutti i reparti. Squadra tetragona, presenta un duo centrale di difesa tosto, sia negli interventi aerei, sia nell’anticipo. A centrocampo Croce calamita tutti i palloni giocati dalla sua squadra ed i suoi lanci non sono mai banali o inconcludenti. Inoltre Cruciani, Di Libero e Criaco arretrano nella fase di non possesso e gli danno una mano per andare a recuperare palloni.
Questo è lo specchio tattico fedele di un primo tempo che non fa registrare sussulti. Nonostante tutto l’Aprilia non riesce ad andare oltre uno sterile predominio territoriale. Con una supremazia territoriale indiscussa la squadra laziale potrebbe incidere parecchio in attacco, ma – per nostra buona sorte – è proprio in avanti che la squadra non riesce a pungere e diventare pericolosa. Robertiello può dormire sonni tranquilli e deve solo uscire di pugno su uno spiovente dalla sinistra, cavandosela poi egregiamente qualche minuto dopo nell’unica occasione in cui viene in un certo senso chiamato all’opera da Ceccarelli, più bravo a litigare che a concretizzare.
La Paganese? Balla il centrocampo; tiene benissimo, senza affanni, una difesa sempre più ermetica di cui Fusco sembra avere saldamente le chiavi.
E’ l’attacco il reparto che sembra essere un ospite indesiderato in questo tipo di partita. Sono tutti e quattro in linea gli attaccanti della Paganese, specie nei primi minuti; tengono fermi e bloccati – è vero – i quattro difensori dell’Aprilia che non si sbilanciano in avanti, ma è a centrocampo che la partita è impari perché gli attaccanti laziali, a differenza del comportamento tattico della Paganese,  partecipano alla costruzione della manovra.
Nessuno vuole discutere l’idea tattica di Grassadonia, tecnico emergente dalle idee innovative che predica un calcio d’attacco e partecipativo, ma è chiaro anche che in determinati frangenti bisogna pur dare un’occhiata agli avversari che si incontrano e adeguarsi, anche in corso d’opera, al discorso tattico.
E’ vero che in questo campionato – quando si dispone di atleti di classe superiore alla media – basta un lampo di genio, una giocata di fino, una prodezza personale per vincere le partite. Ma bisogna anche predisporre le cose in modo da propiziare questi tipi di giocate che infiammano le platee.
Contro l’Aprilia, purtroppo, nella prima parte della gara, non è stato possibile vedere all’opera l’attacco delle meraviglie, soprattutto perché il collante che deve tenere unita la squadra è mancato quasi del tutto. E quando mancano i collegamenti, quando non c’è manovra avvolgente sulle fasce laterali, è difficile che ci si avvicini pericolosamente alla porta avversaria. Cosa che purtroppo è avvenuta.
La svolta tattica nella ripresa. Si fa espellere Croce e la Paganese riemerge non solo perché l’Aprilia deve giocare in dieci uomini, quanto perché viene a mancare proprio l’uomo che nel primo tempo – nella zona centrale del gioco – aveva fatto il bello ed il cattivo tempo.
Si fa sentire anche la fresca vena di Fabio Orlando che non vuole essere da meno rispetto al più osannato fratello e imperversa sulla destra come un puledro di razza liberato dopo essere stato a lungo nella stalla. Corre Fabio Orlando e pennella un pallone docile docile per il ben piazzato Galizia tutto spostato sulla sinistra al limite dell’area; tocco di biliardo di quest’ultimo e pallone piazzato nell’angolo lontano alla sinistra di un incolpevole portiere avversario. Che gol, ragazzi! qua la mano Galizia, questi sono gol che deliziano il palato e fanno dimenticare quasi d’incanto tutti i patemi d’animo sofferti in una insulsa prima parte della gara.
E’ un’altra Paganese quella del secondo tempo. E’ vivace, gode della fresca vena di Fabio Orlando e del senso di posizione di Acoglanis; per giunta ha di fronte un avversario stordito dall’espulsione del suo uomo più rappresentativo.
Il secondo gol rappresenta solo una normale e logica conseguenza di una supremazia oramai chiara e devastante. E’ ancora il più giovane degli Orlando a confezionare il regalo per Fava, uno di quegli inviti che non si possono rifiutare. Caracolla sulla destra, supera un paio di avversari, lancia in corridoio il pallone per il fratello; questi aggancia il pallone docilmente, dà un’occhiata al centro, elude l’uscita del portiere e serve un pallone d’oro a Fava solo soletto davanti alla porta sguarnita. “Grazie, ricambierò” – sembra dire Fava, circondato e festeggiato dai compagni.
Questa è la Paganese che vorremmo sempre vedere; una compagine quadrata, sicura di sé e spietata sotto rete.
Grassadonia però avrà ancora molto da lavorare. C’è da recuperare in pieno Scarpa, che dovrebbe costituire l’elemento aggiunto della squadra ma che, al momento, appare molto lontano dal bel giocatore che tutti abbiamo sempre ammirato. La dimostrazione di una forma ancora tutta da ritrovare emerge quando il giocatore conquista palla al limite dell’area avversaria sul versante a lui più congeniale, il sinistro. In altri tempi avrebbe puntato l’uomo, irretendolo ed irridendolo; oggi si limita al cross quasi da fermo, un cross che non è da Scarpa.
C’è anche da guardare con più attenzione alla manovra di centrocampo. Quando gli avversari hanno la superiorità numerica in quel settore e sono anche avversari di un certo spessore, perché anche questo deve essere ben considerato, allora c’è bisogno di dare una mano a Tricarico e Acoglanis, i due cioè che devono tirare la carretta.
Quattro uomini davanti in linea possono anche essere schierati, ma l’avversario deve essere di portata inferiore; anzi di gran lunga inferiore. In caso contrario qualcuno tra i quattro deve necessariamente abbassarsi e partecipare sia all’azione di difesa, sia a quella propositiva. Qualcuno non sarà d’accordo; ma io dico che è così.
Nemmeno il tempo di tirare un sospiro di sollievo per una vittoria sofferta ma in fondo meritata che ecco giungere il turno infrasettimanale. Si va a l’Aquila e si gioca di sera con i riflettori. Piazza importante l’Aquila, capoluogo di provincia dalle buone tradizioni calcistiche. La gara riserverà molte insidie anche per il valore dell’avversaria.
Fideremo su una difesa di ferro che concede poco agli attaccanti, specie quando è supportata da un efficace filtro a centrocampo. E fideremo pure sul senso del gol di Luchino Orlando e di Fava, sempre di più gemelli del gol.
Il campionato, man mano che si va avanti, sta già esprimendo i reali valori delle squadre che vi partecipano. Importante sarà non tornare dall’Abruzzo a mani vuote.
Ricordiamoci che l’Aquila non è affatto avversaria da sottovalutare. Anzi.