Poche ore sono trascorse dalla conferenza stampa di Roberto Tatò.
Una conferenza lunga, malinconica, a margine di una giornata uggiosa e
piovosa. Unico attore protagonista è il presidente Tatò, che si presenta
alla stampa (e ad una piccola delegazione di tifosi) in non perfette
condizioni fisiche, forse rinfrancato dalla vittoria di Sorrento, ma non
certo felice per una classifica che al momento langue. Il presidente
del sodalizio di via Vittorio Veneto è un fiume in piena, racconta della
sua avventura al timone del Barletta Calcio, di progetti, ambizioni e
sogni dal sapore di serie B. Roberto Tatò racconta di un amore
viscerale, di un cuore che però deve anche fare i conti con un cervello,
di un mondo, quello pallonaro, che in certe categorie parla solo di
perdite.
Il presidente, senza peli sulla lingua, spende una parola per tutti, dai tifosi ("sono loro l'anima del Barletta, la forza che ci fa andare avanti tutti i giorni")
a Macalli, senza dimenticare i protagonisti – in positivo e in negativo
- della sua gestione e coloro che per anni hanno amministrato la città
riuscendo solo a "moltiplicare gli zeri". In
fin dei conti, Roberto Tatò in conferenza ha palesato una realtà che
viaggiava sottotraccia ormai da tempo: un onorevole impegno fino a
giugno, per mantenere in vita questo "gloriosissimo club"
e poi un probabile passaggio di testimone. È apparso stanco, Tatò, di
una serie di promesse non mantenute, di una malriposta fiducia nei
confronti di suoi ex collaboratori, di un mondo troppo esoso in un
periodo di crisi globale. È stanco, Tatò, di avere una "casa in
affitto", di sentirsi "abusivo" al "Puttilli".
È stanco Tatò, ma probabilmente lo sono anche tutti i tifosi del
Barletta Calcio, di non poter puntare in alto per tutta una serie di
motivi contingenti. Quello lanciato da Tatò ieri è uno dei tanti segnali
di SOS che giungono dal "Puttilli". Il presidente si è
accorto di non poter più reggere la baracca da solo, di non poter
portare avanti un progetto solo con le proprie tasche e chiede aiuto ad
un'imprenditoria che in questo momento storico, vuoi per un motivo, vuoi
per un altro, di calcio non vuol sentir parlare. L'impegno di Tatò
resta quello di portare comunque a termine la stagione in qualsiasi
modo, evitando debiti e gestendo al meglio tutte le spese derivanti
dalla "macchina" Barletta Calcio, per poi consegnarla ad un nuovo
"innamorato". A due condizioni: che ci sia un passaggio di testimone
degno di nome, e che non sia la solita "buccia di banana"
che faccia regredire il Barletta di un quarto di secolo. Ritornano in
ballo gli spettri di uno stadio che ormai è caduto nel dimenticatoio,
gli spettri di promesse fatte ma mai mantenute, ma più che mai torna "di
moda" lo spettro di una città in cui fare calcio sta diventando sempre
più difficile, in cui è impraticabile lo sport ad alti livelli.
E, così, che ne sarà dei sogni dei tifosi? Che ne sarà di ambiziosi
progetti di costruire un vivaio e una squadra di talenti? Che ne sarà di
un settore giovanile che continua a stentare dal punto di vista dei
risultati? Che ne sarà della grande giostra chiamata calcio? A Barletta
si è rotto, forse definitivamente, il giocattolo. Tatò ha chiamato: ha
ammesso di aver fatto degli errori, si è fidato delle persone sbagliate,
probabilmente si è fin troppo isolato durante la sua presidenza da
eventuali acquirenti o soci. Tatò ha chiamato, per l'ennesima volta, e
il suo è un grido d'amore verso la maglia, verso i colori biancorossi.
Si attendono risposte, astenersi "bucce di banana".
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