25.3.13

Quei rigori a fil di palo.

di Nino Ruggiero

L’immagine di Scarpa che allontana Girardi per sistemare il pallone sul dischetto è ancora ferma sulla retina. È sicuro del fatto suo Scarpa; tanto sicuro che non vuole sentire ragioni e non vuole essere messo in discussione come rigorista: il tiro spetta a lui. Vuole mettere il sigillo alla gara, come già fatto in altre occasioni; vuole essere il protagonista indiscutibile; intende essere l’uomo partita, quello che firma il gol della vittoria anche se la gara è ancora tutta da giocare perché mancano ancora buoni venticinque minuti alla fine. Silenzio tombale al momento della breve rincorsa. In tribuna, come di consueto, sortilegi e scaramanzia: c’è chi chiude gli occhi, c’è chi guarda in cielo, c’è chi dà le spalle al campo augurandosi che ci sia di lì a poco il boato che di solito segue una realizzazione. Ma sono in tanti a fissare, al pari di una implacabile e lenta moviola, i passi di Scarpa che precedono il tiro. Sono attimi infiniti; attimi che sembrano durare un’eternità. Tira Scarpa e il pallone, colpito di forza più che d’astuzia, viene intercettato dal portiere avversario che si butta sulla sua destra e, di piede, miracolosamente, riesce a sventare il gol. Il boato c’è; ma arriva da un’altra sponda, quella occupata da non meno di trecento tifosi beneventani.

Poteva essere, ma non è stato. Questo è il gioco del calcio.

Dà dimostrazione di buona inquadratura il Benevento. Comincia in salita la gara della Paganese che subisce per almeno un quarto d’ora iniziale la supremazia territoriale degli avversari. Un caldo vento di scirocco, intanto, impazza sul manto erboso del “Marcello Torre” e il gioco risulta spesso spezzettato proprio per le folate di vento che falsano le traiettorie. Un quarto d’ora, non di più, dura lo sterile predominio territoriale degli stregoni. La Paganese ricuce il reparto di centrocampo dove Romondini fino a quel momento appariva quasi circondato da un nugolo di avversari bravi nell’arte del palleggio; si rivede all’opera un immenso Ciarcià, bravissimo a interpretare sia la fase difensiva che di disimpegno e di rifinitura. È quello di oggi (e quello di Carrara, per la verità) il vero Ciarcià, un calciatore mai visto in forma così smagliante e che sprizza energia giovanile da tutti i pori, un moto perpetuo inesauribile, avanti e indietro senza fermarsi mai; un calciatore che, se mantiene l’attuale stato di forma, risulterà il migliore acquisto per quest’ultima parte di campionato.

Dunque cresce Ciarcià, si fa sentire più che vedere anche Soligo, e allora Romondini può giocare come sa, a testa alta; può organizzare il gioco, può innescare la potenzialità offensiva di un vigoroso Girardi mai domo al centro dell’attacco. Se la vede brutta il Benevento quando la Paganese accelera, quando Nunzella spinge sulla fascia sinistra e quando Ciarcià per ben due volte, dopo aver conquistato palla, con slalom entusiasmanti degni del Tomba prima maniera, insidia con due bordate micidiali la porta di Gori. I due tiri, uno di seguito all’altro, quasi fotocopie, terminano di un niente alla destra del portiere sannita che, annichilito, può solo guardare la sfera terminare sul fondo.

È un crescendo quello della Paganese, alla mezzora di gioco. Romondini è l’incaricato speciale a battere i calci d’angolo. Con un vento forte che spira in favore un calcio d’angolo è qualcosa in più di una semplice punizione. Tre calci d’angolo di seguito fanno venire i brividi alla difesa beneventana. Sul primo, battuto sempre da Romondini che ha le chiavi in mano di ogni punizione indiretta, il portiere Gori si salva pur uscendo a vuoto: due attaccanti della Paganese, Tortori e Caturano, e subito dopo anche il difensore Perrotta, non riescono a trovare i tempi giusti per l’impatto con il pallone che quasi danza beffardamente sulla linea di porta. Sul secondo, è il primo palo ad opporsi ad un astuto tentativo di realizzazione diretta. Sul terzo, è Pepe che in un groviglio di calciatori riesce a svettare e a colpire di testa; il pallone sembra indirizzato senza scampo a fil di palo ma viene smorzato da un difensore avversario ad un metro dalla linea di porta e Gori, con un tuffo a terra alla sua sinistra, se lo ritrova miracolosamente fra le mani.

Ma non è finita. L’azione della Paganese è tambureggiante e la difesa del Benevento pare in grossa difficoltà. Quasi allo scadere del tempo si sviluppa l’occasione più ghiotta per passare in vantaggio. Ennesima punizione battuta dalla tre quarti in avanti da Romondini, un difensore respinge alla meno peggio e la palla termina in piena area, sui piedi di Perrotta, tutto spostato sulla sinistra. Maldestro l’impatto del sinistro di Perrotta nei confronti dell’invitante pallone che viene colpito malissimo; “da difensore vecchia maniera” - avrebbe detto qualche cronista di un tempo che fu. Sia chiaro, nessuna demerito per Perrotta che anzi deve essere considerato come una delle note liete della giornata; attento, preciso, puntiglioso, finanche elegante il giovane difensore pescarese che non ha sbagliato un intervento. Un gol, certo, avrebbe premiato la sua bella gara e lo avrebbe consacrato anche nelle vesti di goleador. Sarà per un’altra volta.

Nel calcio troppi errori possono costare caro. Ma soprattutto costa cara la mancata realizzazione del calcio di rigore nella fase centrale della partita. L’errore di Scarpa dal dischetto alla fine risulterà determinante. Inutile rivisitare l’episodio, inutile rimpiangere un qualcosa che poteva essere e non è stato. Piuttosto sarebbe solo il caso di riflettere sulla scelta di esecuzione del tiro dal dischetto risultato fatale dagli undici metri; non per mettere minimamente in discussione la bravura di Scarpa, quanto per il fatto che oggi come oggi quasi tutti i portieri conoscono a memoria i rigoristi che settimanalmente possono incontrare sulla loro strada. Sanno delle loro attitudini, sanno principalmente l’angolo preferito che il rigorista cerca. Non vorrei sbagliarmi ma mi sembra di poter dire che Scarpa dal dischetto cerca quasi sempre l’angolo alla destra del portiere, anche se oggi ha tentato il tiro forte e centrale; un portiere aggiornato in questo tipo di casistica lo sa e non ha nemmeno bisogno di dare fondo al suo istinto per lanciarsi sulla sua destra. Se il tiro è potente, rasoterra e a fil di palo puoi anche indovinare l’angolo, ma non riesci a prenderlo. Altre soluzioni, per il prosieguo del campionato, è meglio tenerle in caldo: non si sa mai, anche se bisogna dire che i rigori si segnano e si falliscono dovunque, anche nella massima serie e anche da parte di conclamati campioni.

C’era un calciatore della Paganese degli anni Settanta, Tonino Albano, cresciuto alla corte del Napoli, campione come pochi in terza serie, che era un vero cecchino dal dischetto. Un giorno come un altro, durante un allenamento, era l’anno di Rambone allenatore, mi dimostrò come non si riesce a neutralizzare un calcio di rigore anche se conosci in anticipo l’angolo dove è indirizzato. Nella circostanza in porta c’era Pasquale Fiore, altro napoletano doc, un mostro sacro fra i portieri dell’epoca. “Lo tiro alla tua destra – disse Albano – cerca di arrivarci stavolta, ma senza muoverti prima del fischio.” Di interno destro, rasoterra, Albano infilò la porta di Fiore disteso alla vana ricerca del pallone. “È scientifico – disse Albano – se sei al centro della porta non riuscirai mai a fermare un tiro forte, rasoterra e a fil di palo.” È così: è stato sperimentato. Solo che bisogna avere nel piede di battuta una precisione millimetrica; la qualcosa non è da tutti.

Torno alla gara. È andata male, ma non malissimo. Archiviati da tempo i sogni di gloria, anche un pareggio, quando, per un motivo o un altro, non si riesce ad arrivare al risultato pieno, può essere accettato. Siamo alla stretta finale e la salvezza va conquistata anticipatamente, senza che siano riservati grossi patemi d’animo. Per intanto andiamo a recuperare giovedì la gara con il Latina. Sappiamo tutti quelli che successe a dicembre. I “tavolini” sono stati serviti abbondantemente nelle aule dei tribunali sportivi, tipo barba, capelli e shampoo. La parola definitiva passa al campo, che, come sempre, è giudice inappellabile.

Sarà di sicuro una partita molto tirata con in ballo tanti buoni motivi di risentimento e di orgoglio, da parte paganese.

Vediamo come va a finire.

Nino Ruggiero - PaganeseGraffiti