di Nino Ruggiero
No, non ci sto; ridatemi il mio derby. Quello di tanti anni fa, quello
che non mi faceva dormire nei giorni che lo precedevano, che mi dava
tanta sana adrenalina e che mi faceva sentire cittadino di questa terra.
Da giornalista e da tifoso, per quanto mi sforzi, non sono riuscito a
entrare in quella che oggi gli “ultrà” presentano con orgoglio come
“mentalità”. Me ne scuso con i tanti buoni amici che si fregiano di tale
attributo, ma io – con i miei anni e la mia passione – sono rimasto al
tifo di una volta; si tratta di una specie di malattia contagiosa: di
quelle che ti fanno vedere solo i tuoi colori e che ti inebria quando
riesci a prevalere sull’avversario, specie se si tratta di un derby. Il
tutto rientrante in una competizione sportiva, non altro.
Non credo che il sano “ultrà”, al di là dello stereotipo creato, sia di
molto distante dal tifoso di una volta. Il tifoso voleva prevalere
sull’avversario: voleva, se possibile, anche umiliarlo per poi
dileggiarlo in nome di una superiorità che doveva venire solo ed
esclusivamente dal terreno di gioco.
Il sale del “derby” era tutto qui, anche se spesso – fra le due fazioni
in gioco – poteva sorgere qualche discussione non propriamente pacata;
il tutto riconducibile a vedute diverse; a qualche rigore non concesso; a
qualche svista arbitrale, favorevole a questa o quell’altra squadra.
I derby di una volta? Rivalità molta, anche accesa, sempre al limite di
una passione senza confini. Ma odio mai. Ognuno con la propria fede, con
le proprie convinzioni, ognuno con il proprio orgoglio e con il proprio
campanile, ma senza pregiudizi, soprattutto senza odio.
Siamo ancora quelli di prima? Interroghiamo a fondo le nostre coscienze e
poi – se siamo convinti di esserlo ancora – esprimiamo pure il nostro
disappunto per un derby che non c’è più; ma non senza aver recitato –
tutti assieme, su entrambi fronti – doverosamente, un “mea culpa”.
Con molto orgoglio, certo; ma anche senza pregiudizi.
Nino Ruggiero - paganesegraffiti.wordpress.com