Una sconfitta doveva pur arrivare. Sì, è vero, c’eravamo abituati a una squadra che in cinque giornate aveva colto un buon bottino. Due vittorie e tre pareggi sono da considerarsi un ottimo risultato per una squadra che ha la salvezza come obiettivo dichiarato. Che volete, eravamo forse entrati in un sottile meccanismo di ordine psicologico e sotto sotto pensavamo in tanti che forse ci poteva essere qualcosa in più al di là della semplice e dichiarata salvezza.
Devo dire, a onor del vero, che l’impressione dei più – confortati da gare spregiudicate e disputate sempre all’insegna di un gioco spumeggiante – era di avere fra le mani una Paganese ben diversa da quella degli scorsi anni. Contribuivano a tanto la presunta consapevolezza – rafforzata gara dopo gara – di aver costruito una squadra quadrata in tutti i reparti; per giunta bene organizzata e disposta in campo, con calciatori universali; con quelli che sanno fare di tutto in campo: sanno difendere, sanno accorciare sugli avversari in possesso di palla, sanno smarcarsi e correre senza palla, sanno cambiare gioco con sventagliate sulle due fasce per mettere in crisi gli apparati difensivi degli avversari di turno.
Grassadonia aveva dato l’impressione di aver trovato la giusta “mistura”, anche perché – soprattutto all’inizio – non aveva avuto tanto da scegliere in quanto a tattica, in considerazione del fatto che gli era stata consegnata una squadra monca in avanti, senza un centravanti di ruolo (giunto poi, in corso d’opera).
Allora che aveva fatto l’allenatore della Paganese? Si era inventato un attacco con tre attaccanti agili e sguscianti e così non aveva dato punti di riferimento ai difensori centrali delle squadre avversarie. La mossa aveva spiazzato un po’ tutti e soprattutto aveva messo in crisi le squadre avversarie, Foggia e Martina Franca soprattutto.
Giusta “mistura” dicevo e spiego anche perché. Perché con tale sistema di ordine tattico la squadra poteva avvalersi di elementi universali che si facevano vedere e sentire nella zona nevralgica del gioco, vale a dire a centrocampo. Sembravano tanti “moschiglioni” impazziti Cunzi, Deli e Cicerelli a supporto dei centrocampisti di ruolo Carcione e Guerri; il loro moto perpetuo e il loro pressing impedivano agli avversari di turno di prendere il sopravvento nella zona centrale del campo. E non è tutto: gli stessi Cunzi, Deli e Cicerelli erano prontissimi a ripartire per fare male alle difese avversaria forti anche della presenza di Caccavallo, sempre più elemento fondamentale nel gioco della squadra come terminale offensivo, promosso a pieni voti a capolinea del gol.
Mi sento di dire che sulla vivacità, sull’universalità tattica dei calciatori che ho citato, Grassadonia ha costruito le sue vittorie e i suoi pareggi. Grande merito al giovane allenatore salernitano, senza dubbio, ma grande merito soprattutto alla squadra che aveva offerto in questa prima parte del torneo sempre prestazioni di buon livello.
Passo alle note dolenti. Forse appartengo a una scuola antica, ma ricordo sempre che gli allenatori di una volta non cambiavano mai una formazione vincente o perlomeno non perdente se non per necessità; vale a dire per infortuni o per squalifiche. Grassadonia si è mantenuto su questa linea di condotta fino all’infausta partita di Rieti.
Contro la Lupa Castelli, invece, ha stranamente cambiato idea e ha cambiato pure il sistema di gioco. Numeri da lavagna come al solito non ne dò; perché non servono a niente, se non a dare la patente di tattici ai tanti che si piccano di essere moderni; perché credo in un calcio dinamico e non da scrivania; perché credo nelle maglie madide di sudore buttato in campo e alla fame di calciatori che non si arrendono mai, al di là di quelle che sono statiche posizioni disegnate su lavagne o a tavolino.
A Rieti la squadra ha cambiato registro di gioco, ha avuto poca “fame” e per giunta, presentando un centravanti-centravanti ha modificato un po’ tutto l’assetto di gioco di centrocampo e di proposizione in avanti.
Intendiamoci, nel calcio non esistono mai le controprove; il che significa che probabilmente la squadra avrebbe perduto lo stesso anche reiterando l’assetto tattico primordiale. Ma sapete com’è: il dubbio ti viene, soprattutto quando si deve digerire una sconfitta inaspettata, maturata contro una squadra che di sicuro non è apparsa come la più forte tra quelle già affrontate. Allora ti viene facile e spontanea dire ad alta voce: “perché cambiare se fino a questo momento i risultati sono stati buoni?”.
Grassadonia deve avere avuto le sue ragioni, non si discute, perché sicuramente non è autolesionista e ha il metro di valutazione di chi segue per un’intera settimana il lavoro della squadra. Ma bisogna dire che le due scelte iniziali, quelle di Palomeque e di Gurma, di certo non hanno portato i risultati sperati. Palomeque, soprattutto nel primo tempo, ha sofferto molto il suo uomo sulla fascia di competenza e non è mai riuscito a prendergli le misure nella fase di contenimento, tanto è vero che la Lupa Castelli si è quasi sempre resa pericolosa sulla sinistra del suo attacco. É andata meglio nella ripresa quando il ragazzo ex bolognese è parso più rinfrancato e reattivo.
Gurma, giocando da centravanti boa, è parso avulso dal gioco e ha partecipato poco alla manovra collettiva denotando caratteristiche spiccatamente offensive, pur cercando di interpretare una parte difensiva che evidentemente non è nel suo dna. Inoltre è sembrato ancora a corto di preparazione e ha vinto pochissimi duelli in area di rigore avversaria.
Concludo con altri pochi ma doverosi concetti. Sento in giro delusione e sconcerto. Ricordiamo sempre a noi stessi che questa squadra ha come traguardo minimo la salvezza. Inutile mettere in discussione bontà di atleti che hanno legato il proprio nome alla squadra da qualche anno a questa parte o atleti che hanno avuto qualche defaillance. Tutti ragionamenti impeccabili, per carità, ma validi e riconducibili solo a una squadra che deve raggiungere alti traguardi.
Bisogna che ci convinciamo che l’inquadratura attuale è di tutto rispetto per il traguardo che deve raggiungere e che, se nelle prime gare abbiamo riportato impressioni positive, non è possibile – dopo un’inopinata sconfitta – abbandonarci allo sconforto più nero.
Suvvia, la squadra non era invincibile prima, quando ha conquistato nove punti in cinque gare, ma non è nemmeno da buttare via adesso.
Piuttosto dobbiamo preoccuparci per qualche intemperanza che rischia di decimare la squadra oltre misura. Rosania deve cominciare a calmare i suoi bollenti spiriti: è la seconda espulsione che si becca e non è cosa da poco per una squadra che ha una rosa risicata. Lo stesso deve fare Carcione, che pur non brillando è pur sempre l’elemento catalizzatore della manovre propositive della squadra.
Un altro guaio per Grassadonia che contro l’Akragas dovrà necessariamente inventarsi una nuova difesa e un nuovo centrocampo…
Da www.paganesegraffiti.wordpress.com