Quello che state per leggere è uno di quei “pezzi” che non avrei mai voluto scrivere. Di certo però non è un necrologio o un epitaffio, fate voi, da destinare su una ipotetica tomba della vecchia e amata Paganese. E sapete perché? Perché il calcio è vita, è passione che non muore mai, così come non morirà mai la Paganese, simbolo di una città che, con i suoi mille problemi, reclama il diritto di cittadinanza in tutti i campi della vita.
Per il rispetto che nutro per i pochi ma affezionati lettori che seguono le mie note sul blog “Paganese Graffiti” qualcosa lo devo dire, anche se faccio fatica a trovare le parole giuste, all’indomani di una sconfitta maturata a tavolino e mai sul terreno di gioco. Forte è ancora la delusione per una conclusione amara, difficile da digerire perché inaspettata.
Lo dico fin da subito per qualcuno che non sia il solito affezionato lettore di questa rubrica: se non amate le emozioni, se non coltivate passioni, fate a meno di continuare a leggere questa nota. E dico anche perché.
Non per amore di polemica, ma ogni qualvolta in questa città – Paganese a parte – viene evidenziato un problema, c’è sempre qualcuno che, con l’aria del primo della classe, interviene rilevando che i problemi di Pagani sono ben altri.
So bene che ci sono un’infinità di problemi che assillano la collettività paganese e so anche che il calcio forse è l’ultimo di questi problemi in una ipotetica scala di valori sociali. In tanti in queste ore hanno chiosato conclusioni di questo tenore: “abbiamo problemi ben più importanti che ci assillano, figuratevi se dobbiamo preoccuparci di una squadra di calcio!”.
Giusto, anche vero. Mi permetto di aggiungere però che nella vita un problema vale l’altro; è inutile fare scale di valori. Solo chi non conosce una storia calcistica lunga novant’anni, non ha mai gioito su un campo di calcio, solo chi non ha avuto contezza di un gol realizzato all’ultimo momento in una gara importante, solo chi non ha mai abbracciato il vicino senza nemmeno conoscerlo dopo uno di quegli autentici miracoli calcistici, non può capire cosa significhi attaccamento viscerale per un colore sociale, cosa significhi avere addosso una seconda pelle, decisamente azzurra.
Passione, anima, cuore: ecco gli ingredienti indispensabili di chi coltiva l’amore per la propria squadra di calcio. Il calcio è sinonimo di emozioni, una delle tante emozioni che caratterizzano la nostra vita. Che ve ne fate di un’esistenza grigia, piatta, sempre uguale? Lo dico a chi guarda al calcio con aria di sufficienza, come se si trattasse solo di uno spettacolo, un po’ come trascorrere il tempo libero; non certamente a chi ben conosce cosa significhi viverlo da protagonista.
Si è chiusa una triste parentesi dopo novant’anni di calcio. E non si può dire che il tutto si sia svolto nella normalità delle cose. Una corsa contro il tempo ha condannato la Paganese e il suo condottiero, Raffaele Trapani, a una sconfitta assai amara e difficile da digerire.
Leggerezze e strategie poco felici hanno caratterizzato l’ultima parte della lunga gestione Trapani. Sono dell’avviso che il presidente abbia fatto molto per la Paganese nel suo lungo periodo di gestione, ma che abbia poi peccato in sicurezza e superbia perché – ben conoscendo la situazione in sospeso con l’erario – avrebbe potuto esporre pubblicamente e in tempo utile la situazione della società.
Quello che è fatto è fatto. Forse ci sono anche spiragli per un ricorso al Tar del Lazio, ma i tempi non sono brevissimi per valutare la situazione. Di certo c’è che il calcio non lascerà Pagani. E’ di queste ore il comunicato del sindaco Bottone che avrà il delicato compito di affidare una nascente società nelle mani di un gruppo di dirigenti da individuare.
Si ricomincerà dalla serie D, con una nuova denominazione societaria. Ma i colori saranno sempre gli stessi, quelli del cuore: azzurro stellati.
Nino Ruggiero