21.11.17

La partita del tifoso - Lo stadio inviolabile, bei tempi di una volta...

Bei tempi di una volta…

Parlo dei miei primi anni di onorata carriera come tifoso della Paganese. Quelli erano anni in cui ancora vivida era la convinzione, spesso sfociante in presunzione, della inviolabilità del Del Forno prima e del Torre poi. Quelli erano i terreni di gioco su cui gli azzurrostellati hanno fondato le basi delle loro fortune: bisognava vincere il campionato? Lo stadio amico era la spinta in più, una sorta di turbo che si innescava a una squadra già forte di suo. Bisognava salvare la categoria? Magari in trasferta le perdevi tutte perché eri scarso ma in casa… In casa nostra non si passava! Il clima era infuocato, la gente partecipava più che assistere alla gara con il famigerato "sangue agli occhi" e questo clima finiva per galvanizzare i nostri calciatori e deprimere gli altri, anche se tecnicamente superiori. Tante sono le testimonianze di ex calciatori avversari che confermano quanto da me affermato. E questo alone di invincibilità metteva soggezione anche ai tifosi avversari, al punto che spesso, nella settimana precedente la trasferta di Pagani, si diffondeva tra loro una strana epidemia che li costringeva a casa, disertando così la partita. Insomma, spesso e volentieri si rinverdiva il mito della famigerata battaglia tra i Greci e la città di Troia: più forti, blasonati e numerosi i primi; più tenaci, valorosi e imbelli i secondi.
Adesso, invece…

Eh, ora ci vuole poco per espugnare o comunque uscire indenni dal nostro stadio: i tifosi ospiti accorrono per quella che sembra spesso una gita fuori porta. I calciatori avversari giocano in un clima ovattato e spesso fanno pure la voce grossa con i nostri, fino ad assumere un atteggiamento di sufficienza, arrivando a gonfiare il petto e a provocare, quando passano sotto la nostra tribuna. E a questo punto si sprecano i lucciconi e le malinconie dei più anziani, memori dei fasti del passato, in ricordo dei tanti malcapitati avversari che non vedevano l’ora di fuggire via da un girone infernale.

Ci vuole poco, dicevo. In casa nostra si viene a vincere o comunque a fare punti, senza neppure doversi inventare chissà quali astuti stratagemmi. Non serve la genialata di quel mattacchione di Ulisse e un finto cavallo, lasciato in mezzo al campo per farci fessi. Non serve l’ira funesta del pelide Achille a sovrastare i nostri calciatori. No, nulla di tutto questo: venite pure a giocare a Pagani, trotterellate per un’oretta e mezza sul terreno di gioco e siate fiduciosi che qualche fesseria vi spianerà la strada verso la gloria. Prima o poi arriverà qualche troiano che, tra lo sgomento degli attoniti suoi tifosi, trascinerà il finto cavallo dentro le mura della città, liberando la ferocia dei greci.

Questi siamo diventati noi: terra di conquista, inermi anche contro la pochezza del nemico/avversario. Sbiaditi ricordi in bianco e nero o scoloriti, nella migliore delle ipotesi, proiettano le immagini di una bolgia trepidante, in costante scambio empatico con i propri beniamini, capaci, tutti insieme, di sottomettere e annullare la forza avversaria. Vero è che il calcio, i calciatori e i tifosi sono cambiati ma altrettanto evidente è che la voglia e l’amore del paganese verso la Paganese sembra scemare sempre più. Se alcuni calciatori sembrano non essere all’altezza della situazione, noi non lo siamo di sicuro. E chi continua a restare a casa continua ad avere torto. Sempre!

Alberto Maria Cesarano
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