Due partite in una. Due spezzoni di gara diversi; l’uno il contrario dell’altro. Primo tempo con un Melfi assatanato e pimpante, con elementi scatenati sempre pronti a rinchiudersi in difesa per poi ripartire con agili e ficcanti azioni di contropiede. Secondo tempo con una Paganese finalmente all’altezza della situazione, con Grassadonia che riannoda il filo del discorso tattico ed intuisce di dover dare una spalla al povero Luchino Orlando isolato al centro dell’attacco.
Entra Fava in campo e la musica cambia quasi d’incanto. I due centrali difensivi del Melfi, che nella prima parte della gara hanno trovato anche il tempo per proporsi in avanti pericolosamente, adesso sono come inchiodati al centro della difesa. E chi li muove più, impegnati come sono nel controllo di due scatenati attaccanti che s’intendono a meraviglia…
Fava assume il ruolo della balia, in senso figurativo s’intende, nei confronti del giovane Orlando; balia asciutta, che, per chi non lo sapesse, negli anni addietro accudiva i neonati senza però allattarli.
Il ruolo di balia nel calcio, a questi livelli, è indispensabile. Pensate a quello che hanno combinato i “piccoletti” del Melfi nel primo tempo, sette under su undici, nessun atleta al di sopra dei ventidue anni: molto fumo, anche tanto, ma poco arrosto, come capita quando si ha a che fare con giovani interessanti, ma con poca esperienza. Un gol realizzato per un errato intervento di Petrocco e poi tanti gol mancati per un niente.
“Sono giovani devono crescere” – è la considerazione che viene fuori, ogni qual volta si parla di calciatori interessanti in verde età. Scusate la divagazione, ma voglio ripetere, in semi-vernacolo, per completezza di informazione, quello che dicevano i cantori del calcio negli anni Sessanta quando trattavano di qualche giovane interessante presentato come un campioncino.
“Ne deve mangiare forni di pane per crescere!” – dicevano, o, meglio ancora “Deve giocare ancora per parecchio sotto il portone con la palla di pezza”.
Palla di pezza, perché, per chi non lo sapesse, nel dopoguerra – e fino agli anni del boom economico – non era facile armarsi di un pallone, di cuoio o di gomma che fosse. Il pallone era merce rara ed allora i ragazzini per dare quattro calci arrotolavano gli stracci vecchi che racimolavano e li cingevano di molle, quanto più strette possibile, per forgiare una specie di pallone da prendere a calci solitamente negli inestricabili cortili o “portoni” che ancora oggi caratterizzano la parte vecchia della nostra città.
Reminiscenze e disquisizioni temporali a parte, è oramai notorio che per crescere, e crescere bene, nel calcio, è indispensabile il ruolo di guida, o balia che sia, per i tanti giovani interessanti che cercano di affacciarsi su prosceni importanti.
Questo benedetto ruolo guida oggi viene interpretato per l’attacco, o se volete per Luca Orlando, da Dino Fava. Entra in campo Fava e la scena cambia da così a così; Orlando cresce, rinasce, diventa spauracchio per le difese avversarie. Ma Fava non recita solo il ruolo di balia; irrompe sulla scena, atterrisce gli avversari con la sua autorevole presenza e poi mette il sigillo d’autore con una prodezza incredibile in mezza girata, quasi senza scomporsi, come se si trattasse solo di ordinaria amministrazione. Classe, esperienza, temperamento: tutte doti che fanno gli uomini-guida dei quali, nei vari settori vitali, una squadra che ambisce a traguardi prestigiosi non può fare a meno. Ecco perché servono – e come! – gli uomini di classe e di esperienza.
Ecco che significa avere ritrovato Scarpa, un altro atleta che deve recitare – al pari di Fava – il doppio ruolo di balia e di attore protagonista. E’ tornato, Francesco Scarpa; l’atleta che quasi da solo, con le sue prodezze, appena cinque anni fa raddrizzò una storica partita con il Cittadella in trasferta. Zero a tre a venti minuti dalla fine; tre a tre il risultato finale. Ingrana la marcia Scarpa contro il Melfi e, specie nel secondo tempo, dilaga sulla fascia sinistra del suo attacco. I calciatori lucani non sanno più chi fermare. Al centro Orlando e Fava sovrastano i due diretti controllori; sulla destra della loro difesa impazza Scarpa, vanamente inseguito da due, anche tre giocatori.
E’ un’altra Paganese, quella del secondo tempo. Anche Galizia prende confidenza di un ruolo che non è suo e si propone in avanti di tanto in tanto, non trascurando di dare un occhio al giovane Giglio che a centrocampo riesce a districarsi alla bell’e meglio. Ecco che significa avere in formazione un atleta bravo ed esperto come Galizia che oltre a ricoprire il delicatissimo ruolo di esterno d’attacco sa anche sacrificarsi, nel momento del bisogno, in un ruolo non suo.
Ecco che significa avere in squadra Fusco, regista impeccabile di una difesa che ha sempre la necessità di essere protetta e guidata.
Vince e convince nel secondo tempo la squadra di Grassadonia perché la sua azione diventa devastante. Crescono anche i giovani, quando si sentono in un certo qual modo protetti. Così irrompe sulla scena il più giovane degli Orlando e fa un figurone, sfoggiando dribbling a ripetizione, con sovrapposizioni e conversioni al centro dalla fascia destra che mettono in ambasce la difesa lucana che non sa più a che santo votarsi, presa com’è d’infilata da tutte le parti.
E’ questa la Paganese che tutti vorrebbero sempre vedere, uno spettacolo, un crescendo d’intensità tecnico-agonistica mai visto fino a questo momento; perché, se vi ricordate, il secondo tempo era stato sempre il tallone di Achille della squadra che sembrava accusare la fatica alla distanza.
Detto della squadra e dell’ottimo secondo tempo, coinciso, manco a farlo apposta, con l’ingresso in campo di Fava, qualcosa devo dirlo su Grassadonia.
Ho seguito in tv la sua intervista di fine gara e per la verità qualcosa non mi suona chiaro nelle sue dichiarazioni. Ho sempre stimato l’operato dell’allenatore, anche nei momenti critici, perché è stato capace di allestire una squadra di tutto riguardo assieme a D’Eboli, miscelando bene la gioventù esplosiva di alcuni bravi atleti, con l’esperienza e la classe consolidata di atleti dal pedigree non indifferente. E’ chiaro anche che in fase di allestimento si è tenuto conto della necessità di schierare almeno tre giovani under in formazione per non perdere i contributi della Lega. Il tutto in un’ottica societaria costretta a fare i conti con un campionato sicuramente oneroso.
Quello che non mi è chiaro, dopo le dovute premesse, è perché Grassadonia abbia lamentato in modo così marcato qualche fischio impietoso da parte della tifoseria. Comprendo anche la sua amarezza, ma un uomo di calcio che fa questo mestiere deve essere vaccinato per tali inconvenienti.
Capisco meno, invece, quando parla di salvezza quasi raggiunta e di ambizioni da chiarire da parte della società. C’è qualcosa di inquietante che mi sfugge e che, credo, a questo punto, sfugga a parecchi.
Come stanno realmente le cose? Possiamo, per favore, essere più chiari? Credo che chiarezza sia dovuta, sia per rispetto della società, sia di chi la domenica, pioggia o non pioggia, freddo o non freddo, si presenta, fedele al suo credo, su uno stadio che pur abbandonato e fatiscente, porta pur sempre il nome di Marcello Torre, un grande figlio di una Pagani che non lo ha mai dimenticato.
Nino Ruggiero