Dunque, siamo tornati dalla festa.
All’andata ci siamo trattenuti, fedeli al vecchio detto popolare che fa
sempre tanta saggezza: “si canta quando si torna dalla festa, non prima”.
Adesso sì che possiamo e dobbiamo gioire. Liberiamo in sola una volta
tutte le angosce che ci avevano attanagliato, tutti i dubbi che ci
avevano pervaso, tutte le remore che avevano bloccato cuori palpitanti e
generosi. C’è proprio bisogno, in una città martoriata ed afflitta da
misere vicende umane e da mali endemici, di un motivo per poter
finalmente avere un giorno, e perché no?, anche più di un giorno, per
gioire. Forse, e senza forse, non risolveremo i problemi di una città
sfortunata ed inerme che sentiamo giorno per giorno sulla nostra pelle,
ma tutti noi abbiamo bisogno di tanto in tanto – fra gli innumerevoli
mali – di avere un momento e un argomento per liberare qualche
inebriante emozione.
So già che in tanti – leggendo queste
note - argomenteranno con chi è sempre pronto a puntare il dito
accusatore e vede sempre tutto nero: “con tanti guai che ci affliggono, vedete se è il caso di entusiasmarsi per un campionato di calcio vinto”. Quasi
che indifferenza e disinteresse dovessero costituire l’abito funereo
per contribuire a risolvere, in questa occasione, tutti i mali di una
città. Chi ragiona così non ha capito niente della vita; ed è abituato
solo a scaricare i problemi della propria coscienza sugli altri. Siamo
fuori strada. I problemi, quali che essi siano, si affrontano e si
risolvono. Il calcio ha un suo percorso, una sua storia e non va confuso
con altro.
Festeggiamola come merita questa indomita Paganese.
Un’esplosione di gioia giovanile domenica
subito dopo la conclusione della gara di Chieti per le strade della
città; drappi azzurri al vento, auto e moto scorazzanti per ogni dove.
Poi un’ulteriore esplosione di folla anonima a tarda sera: giovani, meno
giovani, ragazzi, intere famiglie, all’arrivo della squadra con un
tributo eccezionale di una folla immensa all’interno del “Marcello
Torre”. Mai vista tanta gente sulle scalee. Tribuna gremitissima, quasi
come ai tempi della notturna di una indimenticabile Paganese-Brindisi di
qualche anno fa.
E’ festa a Pagani, ma tutto – dopo una
fiammata iniziale – è così misurato, così decoroso, così equilibrato. I
balconi sono spogli; bandiere azzurre non se ne vedono. Sul tratto via
Carmine-piazza Sant’Alfonso ne ho contate appena tre. Numerosi invece i
tricolori che richiamano più le vicende della Nazionale impegnata negli
Europei che l’impresa della Paganese. Tirateli fuori, allora, i vecchi
vessilli azzurri, quelli con la stella, ma anche quelli senza;
esponeteli senza ritegno.
Ogni promozione sembra avere un profumo
diverso. Ne ho vissute tante di promozioni; non voglio nemmeno contarle
perché quelli della mia generazione sono fieri e gelosi dei propri
ricordi. Ogni volta sensazioni diverse, ogni volta stati d’animo
differenti. Capita per tutte le stagioni della vita. A vincere spesso,
si rischia l’assuefazione, come capita a chi ingerisce medicinali in
continuazione e quando servono veramente non danno più l’effetto
terapeutico sperato. Vuoi vedere – mi chiedo – che ci siamo abituati
troppo a vincere campionati?
A Chieti ancora una volta ha trionfato la “teoria degli spazi in campo”.
Nelle ultime quattro gare, un poco per le squalifiche, un poco per gli
infortuni, Grassadonia ha dovuto rivedere il suo credo tattico. Ed è
stato in questo bravo e fortunato. Quattro gare; tre vittorie, un
pareggio e zero gol al passivo.
Solo la bravura, si ha un bel dire, nel
calcio non basta. La storia ci insegna che un allenatore è bravo quando
vince: inutile dire e aggiungere altre cose, perché significherebbe
volersi prendere in giro. Se un allenatore butta il sangue sul campo
ventiquattrore su ventiquattro, studia schemi, si impegna, lavora per
due, ma non vince, nella considerazione generale è uno che va
sostituito. Se schiera una determinata formazione e vince, o gli va
bene, è un mago; se perde è incompetente. Se diciamo altre cose, se
vogliamo arzigogolare su schemi tattici, su trovate più o meno geniali,
facciamolo pure. Ma il calcio vuole e pretende i risultati. Così come li
pretendono dirigenti e spettatori. I vincenti – come nella vita di
tutti i giorni – vanno avanti e fanno carriera; i perdenti restano al
palo.
Dicevo di Grassadonia. “Si è misurata bene la palla”,
come diciamo dalle nostre parti e, forte di una condizione atletica
invidiabile di quasi tutti gli elementi a disposizione, ha intuito di
poter arrivare al traguardo che gli si chiedeva di raggiungere.
In partite che erano vere e proprie finali, da dentro o fuori,
ha estratto il meglio dai suoi uomini. In trasferta ha giocato come si
faceva negli anni Settanta-Ottanta; ha intasato gli spazi difensivi a
protezione di Robertiello togliendo finanche il respiro agli attaccanti
avversari. Marcature ferree, maniacali, raddoppi, restrizione degli
spazi, gabbie per gli attaccanti più pericolosi a conferma anche di uno
studio approfondito della caratteristiche degli avversari di turno. Una
vittoria dell’intelligenza tattica e della saggia amministrazione degli
sforzi sullo sfrenato podismo che sta caratterizzando negli ultimi tempi
il calcio italiano, condita anche da un pizzico di buona sorte.
Una chiosa sulla squadra. Non voglio fare
nomi perché rischierei in questo momento felicissimo di trascurare
qualcuno. Dico solo che proprio nella fase determinante del campionato
sono finalmente emersi quei valori tecnici e fondamentali di atleti che
nel corso del lungo ed estenuante campionato non sempre avevano dato
alla squadra quanto era lecito attendersi.
Adesso si guarda al futuro. Il presidente
Trapani, con i consigli e con l’opera preziosa di Cocchino D’Eboli,
vorrebbe allestire una squadra da alta classifica. Fossi in lui
riconfermerei subito Grassadonia al timone e non smembrerei l’attuale
compagine. Pochi ritocchi, ma buoni; a cominciare da un centrocampista
che dia subito identità e personalità alla squadra; proprio quella che
spesso è mancata nei momenti topici del campionato.
Chiudo e saluto coloro i quali nel corso
dell’intera annata hanno avuto la bontà di seguire i miei scritti;
saluto soprattutto i tanti sostenitori paganesi sparsi per il mondo.
L’appuntamento è fissato per il prossimo anno.
Un affettuoso pensiero lo dedico alla
memoria dei colleghi giornalisti scomparsi: a Raffaele Ianniello, a
Renato Cuomo, a Salvatore Scarano e a Ninì Cesarano.
Chissà come avrebbero gioito nel vedere nuovamente la loro squadra in un campionato di terza serie.
Nino Ruggiero