17.6.24

La paganesità risolutiva.

DI BARBARA RUGGIERO

Se ce lo avessero detto lo scorso anno di questi tempi non ci avremmo creduto. Se ci avessero predetto l’arrivo di un imprenditore disposto ad accettarci così come siamo, avremmo pensato con ogni probabilità di parlare con un matto o, in ultima analisi, con qualcuno intenzionato a prenderci in giro. Da dopo Tivoli, prima la sconfitta bruciante, poi l’addio di Raffaele Trapani, poi la situazione debitoria e il periodo di incertezza societaria: c’erano tante ragioni per cui una piazza normale avrebbe dovuto cominciare a sentirsi affetta dalla sindrome di Calimero. Una piazza normale, appunto. Non Pagani. Quelli che amano dare definizioni di territorialità direbbero che siamo al Sud, che è risaputo che il napoletano s’ fà sicc ma nun mor, e che siamo abituati a resistere anche nelle avversità. Che è proprio in questi momenti che viene fuori il meglio di noi, la resilienza, un termine che oramai piace sempre più a tutti. Ma non è questo. O, meglio, non è solo questo. Esattamente come a Pagani la Paganese non è solo pallone.


Se ce lo avessero detto lo scorso anno di questi tempi non ci avremmo creduto. Se ci avessero predetto l’arrivo di un imprenditore disposto ad accettarci così come siamo, avremmo pensato con ogni probabilità di parlare con un matto o, in ultima analisi, con qualcuno intenzionato a prenderci in giro. Da dopo Tivoli, prima la sconfitta bruciante, poi l’addio di Raffaele Trapani, poi la situazione debitoria e il periodo di incertezza societaria: c’erano tante ragioni per cui una piazza normale avrebbe dovuto cominciare a sentirsi affetta dalla sindrome di Calimero. Una piazza normale, appunto. Non Pagani. Quelli che amano dare definizioni di territorialità direbbero che siamo al Sud, che è risaputo che il napoletano s’ fà sicc ma nun mor, e che siamo abituati a resistere anche nelle avversità. Che è proprio in questi momenti che viene fuori il meglio di noi, la resilienza, un termine che oramai piace sempre più a tutti. Ma non è questo. O, meglio, non è solo questo. Esattamente come a Pagani la Paganese non è solo pallone.

Quelli snob saranno pronti a storcere il muso e a ricordare che mentre ci sono problemi di tutti i tipi qui si pensa solo allo sport. Non stateli a sentire. Non sono snob: è solo che non si sono mai avvicinati alla realtà della città, che parlano stando seduti a una scrivania senza scendere in strada, che non hanno mai capito cosa significa condividere le gradinate assieme a chi a stento conosci e che per 90 minuti diventa il tuo migliore amico, non sanno che tutto quello che ruota intorno alla “palla di pezza” non sono solo affari e scommesse. Sono quelli che da lontano sorridono e osservano tutti i calciofili improvvisamente diventati esperti di economia e legge: il saldo e stralcio e la situazione debitoria è sulla bocca di tutti, a prescindere dalle competenze.

Perché il pallone è così: è democratico; unisce, abbatte ogni barriera e rende competenti, non solo di calcio. Ecco, anche per questo la Paganese in questa città non è solo calcio. Lo ha capito l’amministrazione comunale che ha preso a cuore il problema e ne ha fatto un cavallo di battaglia, uno dei primi punti dell’agenda. Lo sa il gruppo di imprenditori che, cosa inedita nella storia del calcio locale, per un anno è riuscito a tenere in vita la società tra mille sforzi, economici e non solo. Pare averlo capito bene Nicola Cardillo – main sponsor, partner o presidente in pectore, chiamiamolo come vogliamo – che venerdì sera ha letteralmente infiammato la piazza in una serata che profumava di emozioni e di rinascita. Cardillo probabilmente ha sempre saputo cos’è la Paganese a Pagani: lo aveva orgogliosamente fatto intuire quando, in tempi non sospetti, lo scorso dicembre, premiato da presidente della Giffonese nell’ambito di una serata organizzata da Carmine Torino, aveva subito rimarcato, con l’accento settentrionale di chi è cresciuto al Nord: «Io non sono di origini paganesi, io sono proprio paganese».

Forse la spiegazione ai dubbi iniziali sta proprio in questo: nell’orgoglio di appartenenza a una terra che non si dimentica, che non si cancella e che non finisce mai. Solo chi sa cos’è la Paganese può essere tanto folle da impegnarsi a fondo a dipanare una matassa che chiunque avrebbe preferito mettere da parte per ricominciare da zero. Certo, ci sono ancora le grane con l’erario da risolvere, ma trapela ottimismo anche perché quella di venerdì aveva tutti i connotati di una serata di festa e quasi nessuno aveva voglia di pensare ai piani B e C.

Simbolicamente questa Paganese riparte da nuove immagini: da Cardillo, che oramai tutti chiamano presidente, che canta assieme ai paganesi, osannato da ultras e persone comuni che gli chiedono un selfie, dalla sciarpa azzurrostellata che uno dei tifosi è venuto a portare dal Nord (Felice Confessore in rappresentanza del gruppo Azzurrostellati del Nord Italia, nda), dalla maglia numero 1 regalata da Raiola, uno dei pilastri della vecchia società, dai fumogeni e dallo spumante sulle gradinate del teatro; tutti insieme, come in curva, uniti da una passione che non si spegne. E con una sola certezza ribadita a più riprese dall’attuale main sponsor: «Voglio essere il presidente del centenario». Se è un sogno, non svegliateci!

da paganesegraffiti.it