Della partita ho già detto quasi tutto tratteggiando il consueto pagellone di fine partita. Aggiungo solo che si tratta di una vittoria veramente corroborante; arrivano tre punti davvero importanti per la Paganese che vede allontanarsi lo spauracchio dei play-out per guardare con maggiore fiducia al prossimo futuro.
Tornando alla partita, c’è da dire, a onore del vero, che ancora una volta c’è stato il predominio territoriale della squadra di casa. Gallipoli quasi non pervenuto, se si eccettuano un paio di contropiede che avrebbero anche potuto fare male; una pezza in proposito l’ha messa il giovane Simone Esposito che si avvia a dare continuità alla sua esperienza a guardia della porta.
Piuttosto ci sarebbe da tirare in ballo un tasto dolente, forse lo stesso tirato in ballo a Matera (rigore più che evidente a parte). Che cosa impedisce alla squadra di concretizzare l’imponente mole di gioco messa in mostra? Bello il quesito, ma di difficile soluzione. Se ci fosse una naturale ricetta, sarebbero i tecnici a metterla in atto, ma non c’è.
Nel calcio non basta giocare bene e dare dimostrazione di superiorità tecnico-tattica. Alcune squadre, soprattutto quelle che vanno per la maggiore e che hanno mestiere, sono ciniche, spietate, non ammettono il minimo errore dell’avversario, quasi giocano a rimpiattino e ti puniscono poi al minimo errore. E sapete perché? Perchè le squadre composte in maggioranza da giovani hanno tutto: ardore, entusiasmo, voglia di emergere, anche buona preparazione di base, seguono le direttive dei propri allenatori, ma poi non riescono a concretizzare la mole di lavoro prodotto per un peccato di gioventù. Se lo facessero probabilmente avremmo trovato la pietra filosofale, quella pietra magica, scovata dallo scrittore francese Flammel, in grado di trasformare qualsiasi metallo in oro puro. Giá, pietra filosofale. Utopia, solo utopia.
La verità è che non basta solo il lavoro a trasformare una banda di giovani di belle speranze in una squadra di sicuro successo. Cosa voglio dire? Che la Paganese è una buona formazione composta da tanti buoni elementi, guidata da un tecnico di prim’ordine che ha dato alla squadra la sua impronta, ma che – proprio perché formazione giovane e inesperta – non potrà fissare un traguardo di massima. E questo non perché non ci siano elementi di valore, ma solo perché in determinate occasioni, c’è bisogno di avere soprattutto in avanti elementi che sappiano effettuare repentini cambi di marcia e puntare diritti a rete. Probabilmente si chiama mestiere del gol. O si ha, o non si ha.
Quello, allora, che probabilmente ancora non si è capito – e che è anche difficile da fare accettare – è che la Paganese di quest’anno, già per il fatto di esistere, rappresenta una specie di miracolo calcistico. Quello che è stato fatto per arrivare fino ad oggi, non devono scoprirlo le zingare. È stato fatto, sin dall’inizio, tutto con cognizione di causa. Ogni pedina interessata ha fatto egregiamente la sua parte; nessuno dei soci finanziatori ha fatto un solo passo in più rispetto al loro ruolo tradizionale. Sono poi stati bravi Accardi e Raiola a spendere il giusto, come l’economia del momento consigliava; è stato bravo Agovino a dare un volto alla squadra, se è vero, come è vero, che i complimenti nei confronti della squadra oggi si sprecano.
Ora, una volta assodato e sacramentato che la squadra sta facendo anche più del suo dovere mantenendo fede al programma di minima, mi sembra anche giusto che ci si interroghi su qualche incontrovertibile dubbio: si potrà con il lavoro arrivare a limare qualche deficit di natura più che altro realizzativa?
Forse, ma non è certo. Rizelarsi non serve a niente. Quello che bisognava dare a Cesare è stato ampiamente dato e nessuno mai ha avuto alcunché da eccepire sul ruolo che la squadra sta recitando. In un campionato difficilissimo, caratterizzato da compagini che non hanno badato a spese nelle sessioni estive e in quella invernale, sperare in un futuro più roseo si può.
Non costa niente.